“Fare di ogni spettacolo una sorta di avvenimento. Vogliamo arrivare a questo: che ad ogni spettacolo allestito è per noi in gioco una partita grave… non ci rivolgiamo allo spirito o ai sensi degli spettatori, ma a tutta la loro esistenza. Alla loro e alla nostra…”. (Antonin Artaud).
Ogni epidemia di peste crea una situazione limite. Nella situazione limite si spezza il cordone ombelicale di quello che è e di quello che deve essere, di quello che è e di quello che non è; di quello che è e di quello che sembra, di quello che si può fare e di quello che non si può fare.
Epidemia come delirio generale che corre per le strade, invade il quotidiano, si socializza come malattia. L’individuo attore nella situazione limite vive un delirio necessariamente comunicativo, rivolto a turbare i sentimenti di un pubblico narcotizzato e ben trattato da secoli di stupidità scenica e umana. Lo spettatore deve essere coinvolto pericolosamente e attivamente dentro l’evento, in prima persona.
Vennero giorni d’epidemia è il frutto di un lavoro collettivo d’improvvisazioni e di training fisico-vocale, sul tema della peste come “epidemia sociale”, e sui meccanismi conflittuali che ne scaturiscono. La ricerca si è basata sullo studio delle varie descrizioni di peste fatte da Tucidide e Lucrezio (la peste di Atene), da Boccaccio nel Decameron, da Artaud, da Manzoni, da Camus.
Questa ricerca ha teso a scoprire ciò che di sconvolgente nei rapporti sociali e interpersonali un’epidemia può provocare.
A livello teatrale sono scaturite elaborazioni di movimenti gestuali/sonori, che partendo dalla situazione centrale, si snodano alla ricerca dell’identità propria degli individui-attori. Alla ricerca dei conflitti reciproci tra il gruppo e il cosidetto “pubblico”, che viene posto di fronte al problema di una scelta radicale: o l’oppressione, ormai interiorizzata, o la liberazione collettiva.
“Fare di ogni spettacolo una sorta di avvenimento. Vogliamo arrivare a questo: che ad ogni spettacolo allestito è per noi in gioco una partita grave… non ci rivolgiamo allo spirito o ai sensi degli spettatori, ma a tutta la loro esistenza. Alla loro e alla nostra…”. (Antonin Artaud).
Ogni epidemia di peste crea una situazione limite. Nella situazione limite si spezza il cordone ombelicale di quello che è e di quello che deve essere, di quello che è e di quello che non è; di quello che è e di quello che sembra, di quello che si può fare e di quello che non si può fare.
Epidemia come delirio generale che corre per le strade, invade il quotidiano, si socializza come malattia. L’individuo attore nella situazione limite vive un delirio necessariamente comunicativo, rivolto a turbare i sentimenti di un pubblico narcotizzato e ben trattato da secoli di stupidità scenica e umana. Lo spettatore deve essere coinvolto pericolosamente e attivamente dentro l’evento, in prima persona.
Vennero giorni d’epidemia è il frutto di un lavoro collettivo d’improvvisazioni e di training fisico-vocale, sul tema della peste come “epidemia sociale”, e sui meccanismi conflittuali che ne scaturiscono. La ricerca si è basata sullo studio delle varie descrizioni di peste fatte da Tucidide e Lucrezio (la peste di Atene), da Boccaccio nel Decameron, da Artaud, da Manzoni, da Camus.
Questa ricerca ha teso a scoprire ciò che di sconvolgente nei rapporti sociali e interpersonali un’epidemia può provocare.
A livello teatrale sono scaturite elaborazioni di movimenti gestuali/sonori, che partendo dalla situazione centrale, si snodano alla ricerca dell’identità propria degli individui-attori. Alla ricerca dei conflitti reciproci tra il gruppo e il cosidetto “pubblico”, che viene posto di fronte al problema di una scelta radicale: o l’oppressione, ormai interiorizzata, o la liberazione collettiva.