Stimolati da un’idea di Giancarlo Cauteruccio abbiamo affrontato per la prima volta in Italia la messa in scena di un testo classico tradotto in lingua arbëreshe, dando voce ad una minoranza linguistica della Calabria. Una lingua musicale che evoca suoni e culture del passato, veicoli di miti moderni.
Poniamo l’accento su Medea, uno dei miti più conosciuti, in un confronto filologico rappresentato dai tratti comuni e dai significati che alcuni aspetti della tradizione arbëreshe ha mantenuto e che troviamo presenti nella tragedia greca. Temi come nostalgia, pregiudizio, inospitalità verso lo straniero, rivivono nella Medea, eroina di modernità e trovano riscontro nei testi e nelle canzoni arbëreshe che rievocano l’amarezza della diaspora e la nostalgia dei propri luoghi.
Prendendo spunto dall’immagine descritta in una didascalia della Medea di Franz Grillparzer in cui è descritta una tenda davanti al mare all’arrivo di Medea a Corinto, riviviamo un’altra immagine a noi contemporanea delle tante donne sbarcate sulle nostre coste. Si tratta dei nuovi eroi “mortali” moderni, gli extracomunitari, i viaggiatori per necessità, pronti a tutto anche a rischiare la vita nella lotta contro gli elementi. Medea è una di loro, sbarcata sulla costa calabrese alla ricerca di una nuova terra. Medea è e resterà straniera perché vittima della “paura dell’estraneo”, straniera in terra straniera, vista come un pericolo e per vendetta alla fine lo diventa.
I costumi saranno contemporanei come se la scena fosse ambientata in uno di tanti luoghi di sbarco della costa calabrese, con una grande tenda di fronte al mare a simboleggiare l’arrivo dei profughi nella nuova terra.
I personaggi qui ridotti a sei sono interpretati da attori e musicisti di origine arbëreshe, alcuni dei quali fanno parte di un gruppo etnico-musicale che suona gli strumenti originali della tradizione greca, albanese e macedone come i “daùli” e “daìr” (strumenti a percussione) e “buzuki” e “ciftelìa” (strumenti a corda).
L’adattamento tradotto dal greco antico di Euripide all’arbëreshe assieme ai suoni e ai canti albanesi e bizantini, faranno da contrappunto al disegno sonoro di un progetto che assume un particolare significato sia dal punto di vista culturale che estetico e politico.
Regia: Francesco Suriano.
Collaborazione alla regia: Nando Pace.
Con: Vicky Macrì, Lello Pagliaro, Nando Pace, Riccardo Baffa, Francesco Mazza.
Riduzione e adattamento: Nando Pace e Francesco Suriano.
Traduzione letteraria in lingua arbëreshe: Adriana Ponte.
Musicisti e cantanti: Adriana Ponte, Vicky Macrì, Lello Pagliaro, Riccardo Baffa.
Costumi: Dora Ricca.
Oggetti di scena: Rosalba Balsamo.